Eugenio Coppo
METAMORFOSI DELLA MATERIA
In Italia si è avvertita con forza la tradizione di una scultura astratta con connotazioni geometricostrutturali, geometrico-materiche e segniche. La ricerca artistica di Eugenio Coppo fa uso di un linguaggio astratto caratterizzato dallo studio di forme geometriche pure che vengono frammentate, perdendo così la compattezza della superficie che, scomponendosi, lascia intravedere una complessa struttura interna di matrice segnica, costituita da una fitta trama di ingranaggi in continuo processo metamorfico.
L’opera risulta modificabile attraverso l’intervento del fruitore, dunque soggetta a possibili variazioni, e porta a ricostruire mentalmente una integrità formale che mette in evidenza, appunto, la matericità interna; inoltre la eliminazione della visione frontale – connaturata al genere scultoreo – facilita una osservazione che sposta di volta in volta i punti di vista, generando un movimento e comunicando una forte carica energetica.
E’ evidente la capacità di dominare la materia, contrassegnata da eleganza e ricercatezza formale nonché esempio di perfetta sintesi tra una visione astratta e la ferrea costruzione matematica. Nel lavorare la materia e finalizzando il linguaggio a una funzione simbolica, egli assembla forme geometriche mutuate da un vocabolario di secondo Novecento italiano degli anni cinquanta e sessanta, che rielabora e trasforma con magistrale perizia tecnica. Il suo iter progettuale si inserisce anche in quelle sperimentazioni di Arte Cinetica che affermava - riprendendo le idee del Futurismo e del Costruttivismo - di utilizzare il movimento come centro dell’opera d’arte, avvicinandosi via via a fonti di energia meccanica, luminosa ed elettrica (Vasarely, Munari, Tinguely, solo per citare alcuni nomi). Da allora il principio stesso della scultura intesa come arte plastica ha perso ogni carattere specifico, affermandosi sempre più la nozione di una scultura come linguaggio dello spazio mentale e non fisico, intorno al corpo. Siegfried Giedion fece notare già nel 1928 che quando un genere d’arte diviene troppo stretto si finisce per abolire il genere stesso.
Le opere di Eugenio Coppo, infatti, dalle piccole dimensioni possono essere trasportare su grande scala anche da destinare a spazi pubblici. Nei suoi progetti che coinvolgono lo spazio urbano vi è la volontà di riqualificarlo per mezzo di una espressione razionale e di una intuizione artistica. In un concetto di estetica allargata egli tocca trasversalmente vari ambiti artistici che vanno dalla scultura all’architettura al design. L’uso dell’acciaio crea giochi di luce sulla superficie lucida mettendo in risalto l’oggettualità della struttura in un rimando di pieni e vuoti, mentre i tanti elementi che compongono l’opera si traducono in composizioni variate e ritmiche, verificand nuove forme, come la disseminazione di derridiana memoria che, distribuendo il centro in vari punti, sconvolge l’ordine gerarchico della struttura formale rendendola incontrollabile.
E nelle opere di Coppo è proprio l’interazione dello spettatore a rendere cangianti le forme, consegnandoci una materia che si nutre e si rinnova di questa inarrestabile capacità metamorfica.
Affrancandosi da un programma stabilito, i suoi lavori prevedono un campo di variazioni formali praticamente infinite, accostando alla regola e alla razionalità l’elemento di imprevedibilità riscoperto dalle correnti irrazionali del dopoguerra.
La successione di situazioni visuali diverse danno all’opera una certa instabilità, conferendole un carattere di autonomia e permettendo una sua lettura a diversi livelli: percettivo, scientifico-sperimentale e tecnologico. Esempio di esperienza in un campo ancora aperto a indagini artistiche è quello in cui si muove Eugenio Coppo; un campo direttamente legato alle potenzialità suggerite dalla tecnica - e dalla conoscenza che si ha di essa - come mezzo di liberazione della fantasia creativa.
Ornella Fazzina
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